domenica 23 settembre 2018
cenni sul massaggio tailandese
lunedì 17 settembre 2012
7° Festival Natura della Gallura
Come eventi rappresentativi per la valorizzazione della cultura naturalistica in Gallura l’A.S.CU.NA.S. di Telti per l’anno 2012 ha scelto:
Gabriella Lutzu nel suo laboratorio produce opere di sua fantasia utilizzando i colori da lei ottenuti col metodo a caldo, con aggiunta di componenti chimici per la mordenzatura del filato usato, riproposto nel pomeriggio nel laboratorio di tintura con piante tintorie.
Il filo delle arti e mestieri, a sinistra nel manifesto, è di lino ed è stato filato dalla signora Assuntina Arceri, che ci ha lasciato nel secolo scorso insieme con la filatura del lino.
Lezione aperta del Corso di Botanica (A.S.CU.NA.S. Onlus):
Feldenkrais
Poesia Improvvisata
Canto Sardo a Chitarra
Arte Contemporanea
Omaggio a Maria Lai
“Legarsi alla montagna”
I nostri soci hanno potuto assistere alla proiezione del video sull’opera comunitaria, ideata da Maria Lai per il Comune di Ulassai, che ha visto un intero paese legarsi alla montagna che lo sovrasta con un nastro azzurro lungo 26 km., simile a quello che sventolava in una giornata piovosa di una antica leggenda del luogo.
Si segnala per il filo della tessitura il Meoc Museo Etnografico di Aggius,
mercoledì 18 gennaio 2012
medicina popolare sarda
Appunti sulla medicina popolare sarda
tra le pieghe di antichi saperi
E la comunità diventava una "farmacia collettiva" a base di erbe officinali
di Nando Cossu
Per meglio capire il sistema della medicina popolare in Sardegna è opportuno premettere una
breve descrizione della struttura economica e sociale all'interno della quale questo sistema operava.
Fino ai primi anni cinquanta, agricoltura e allevamento erano le attività principali delle nostre
comunità e arrivavano a comprendere anche 1'80% della popolazione attiva.
Le altre attività, che pure erano presenti, avevano un carattere complementare e operavano soprattutto in funzione dell'agricoltura e dell'allevamento. In questo tipo di comunità il bene più prezioso era il grano, sia per la sua funzione insostituibile nell'ambito dell'alimentazione quotidiana, sia come mercé di scambio per l'acquisizione di altri prodotti o servizi.
Scapolare da portare al collo a contatto con la carne per la prevenzione delle malattie.
La povertà era una condizione diffusa e in molti casi si trattava di vera e propria indigenza, tanto che non erano poche le famiglie per le quali avere anche solo il pane sicuro, a costo di grandi sacrifici, era una fortuna. Capitava anche che quei fortunati che avevano il pane talvolta non avessero di che accompagnarlo e allora si arrangiavano raccogliendo in compagna quanto l'ambiente circostante offriva. La povertà diffusa esigeva l'impegno di tutti, maschi e femmine, piccoli e grandi, per mettere assieme il necessario per la sopravvivenza della famiglia, per questo succedeva che talvolta si cominciasse a lavorare fin dall'età di 6-7 anni. In questa economia di sussistenza non era certamente marginale il contributo delle donne, mandate a custodire il bestiame fin da bambine, oppure a fare le domestiche appena adolescenti e al lavoro dei campi, senza contare tutte le fatiche per accudire la famiglia. Il primo contesto che rifletteva questa condizione di vita era l'abitazione.
Costruite in mattoni crudi o in pietra, le case erano in genere piccole, il tetto in canniciata e i
pavimenti in terra battuta, costituita in realtà da un impasto di argilla, paglia e sterco di bue. Mancavano l'acqua potabile e la corrente elettrica, l'unica fonte di riscaldamento era il camino, chi poteva aveva anche qualche braciere.
Non disponendo di acqua, tanto meno acqua calda, l'igiene quotidiana della persona non andava al di là di una rinfrescata al viso, il bagno (dentro una bagnarola) era qualcosa di riservato alle donne più fortunate, che lo facevano in genere una volta al mese, mentre per i maschi l'occasione per qualche bagno si presentava d'estate, al fiume, in mare, in casa con l'acqua del pozzo. I servizi per fare i bisogni spesso erano all'aperto in un angolo appartato del cortile, le famiglie più fortunate disponevano di una casupola con un pozzo nero, sempre nel cortile.
Ma la povertà poteva leggersi facilmente anche sulle stesse persone: la gente vestiva in modo essenziale, difficilmente si poteva disporre di capi di vestiario come il cappotto e la maggior parte della povera gente si copriva con su saccu, una sorta di coperta doppia di orbace usata anche come giaciglio.
L'uso quotidiano delle scarpe era un lusso di pochi, quando non servivano per andare in campagna a lavorare, ma c'era chi si recava scalzo anche al lavoro.
Infine, anche l'alimentazione risentiva di questa condizione di indigenza. I pasti potevano essere da tré a quattro al giorno: colazione, spuntino di metà mattina, pranzo e cena.
Però, ciò che bisogna prendere in considerazione non è tanto il numero dei pasti quanto quel che si consumava. Nell'alimentazione della povera gente, dopo il pane gli alimenti più usuali erano i legumi e le patate durante la settimana, mentre la domenica chi poteva preparava un po' di pasta. Il consumo della carne difficilmente andava oltre una volta la settimana in quantità, spesso, piuttosto ridotta.
A questo proposito, tra le famiglie più povere era diffusa l'abitudine di cibarsi della carne di quei capi di bestiame (cavalli e buoi soprattutto) che morivano in seguito al carbonchio e che venivano abbandonati in campagna.
Sia. Pinza in lentischio con cui si fermava il sangue nelle vene incise per il salasso.
Chiave maschio inferro utilizzata per cauterizzare la pustola del carbonchio.
In un contesto siffatto, gli individui vivevano in un rapporto quotidiano con la precarietà, che
investiva tutti gli aspetti della loro esistenza, fino alla sfera dell'intelletto, del pensiero, stimolando
la ricerca di un conforto e di una giustificazione a quella condizione.
E per molti, per quasi tutti, la ragione di quella condizione era da riporre nella imperscrutabile volontà divina, a cui venivano fatti risalire anche lo stato di salute e di malattia, intendendo la prima come un dono che Dio faceva agli uomini, secondo criteri per loro inaccessibili, e la seconda come una punizione divina per colpe non espiate secondo le modalità della giustizia terrena. Queste argomentazioni di carattere religioso costituiscono un aspetto importante del sostrato ideologico su cui poggiava anche il sapere medico del mondo agropastorale.
Proprio nella religione venivano poste le ragioni ultime di tutto ciò che non fosse spiegabile con gli strumenti culturali di cui la società agropastorale disponeva, comprendendo fra questi strumenti anche le diverse ideologie magiche.
Ma vi era, nel sapere medico tradizionale, anche una dimensione empirica, che era in ultima analisi quella con la quale si aveva più dimestichezza, per il rapporto stretto che essa aveva proprio con le vicende della vita quotidiana. Così, per quanto riguarda le cause delle malattie, al di là della ragione ultima di esse riposta nella religione, vi erano diversi fattori scatenanti la cui connotazione era esclusivamente empirica.
Una delle cause di malattia, fra le più diffuse e pericolose, era su scallentamentu, che consisteva in un eccesso di riscaldamento del corpo, dovuto ad uno sforzo fisico eccessivo, una lunga corsa ecc.. Era pericoloso esporsi a lungo al sole nel mese di marzo, mentre nel corso dell'estate il sole esercitava sull'organismo un'azione benefica in quanto attraverso il sudore provocato dal caldo veniva espulsa s'aqua maba, cioè quelle che noi oggi chiamiamo le tossine.
Anche l'aria, quando perdeva la sua purezza, era considerata veicolo di malattie diverse, persino molto gravi, così come malattie poteva portare la tramontana a causa dei suoi rigori e i venti d'Africa per evidenti ragioni opposte, mentre il maestrale era considerato apportatore di salute.
In questa dimensione empirica del sapere medico popolare, il fattore che più di tutti incide sulle condizioni fisiche di un individuo è il sangue.
Sotto questo profilo, tutti gli individui erano compresi in tré grandi categorie: gli individui di sangue forte, quelli di sangue debole e quelli di sangue dolce; l'appartenenza a questa o quella categoria era cosa che si poteva distinguere già dall'infanzia o dalla prima adolescenza.
Secondo il pensiero medico popolare, il sangue ha bisogno dopo un certo periodo di liberarsi di
tutte le impurità che in esso si formano per via di un'alimentazione sbagliata, l'aria malsana, le tensioni.
Questo bisogno di espulsione delle impurità costituisce il concetto di sfogo del sangue, e una manifestazione concreta di questo sfogo era costituito dai foruncoli. Questi, grazie alla loro funzione di sfogo, preservavano l'organismo da mali peggiori.
Dopo i lavori della stagione estiva, vi era la consuetudine di rinfrescare il sangue, attraverso l'assunzione di un purgante (il più delle volte si usava il sale inglese), per depurarlo e prevenire malattie pericolose. Era molto diffusa anche la consuetudine di cambiare il sangue una volta l'anno, attraverso il salasso, praticato da qualche flebotomo oppure attraverso l'applicazione di sanguisughe.
Olio di grano appena prodotto, visibile sull 'incudine e
sul dito.
Sulla base delle cose appena dette, si può capire meglio la dinamica della pratica medica nel mondo agropastorale.
Intanto va detto subito che la gestione della malattia avveniva secondo un meccanismo complesso e ricco di opportunità in favore del malato. Tale meccanismo si manifesta già fin dal momento della diagnosi che, ad un osservatore superficiale sembrerebbe lasciata al caso, mentre in realtà si dispone di diversi livelli di effettuazione, dallo stesso individuo malato fino al guaritore più esperto, a seconda delle esperienze che ciascuna delle figure coinvolte ha maturato.
Il luogo di lavoro, la bottega, la fontana, anche il posto più impensato poteva rivelarsi un'occasione
di incontro con qualcuno che aveva già avuto esperienza di un determinato male e che forniva
la diagnosi al malato o ad un suo parente. Addirittura più ricco di opportunità era il momento
della cura. Quasi sempre i disturbi occasionali di lieve entità venivano curati in famiglia, perché
diffìcilmente in un nucleo familiare mancava qualcuno che avesse conoscenza di quei rimedi praticati per una indigestione, una normale influenza, un foruncolo ecc.. All'interno della famiglia erano in prevalenza le donne a praticare questi interventi.
Quando non si disponeva del rimedio in famiglia, vi era sempre l'opportunità di ricorrere a terze persone, più o meno esperte. E non era necessario mandarle a chiamare o recarsi da loro.
Se in una famiglia c'era qualcuno che stava male e uno dei familiari usciva, incontrava qualcuno a
cui confidava la sua preoccupazione, poteva accadere che questa persona le suggerisse immediatamente chi poteva curare quella determinata malattia. Ancora più facile era ricevere indicazioni sui guaritori nel caso di qualcuno il cui male fosse visibile, come eczemi e altre malattie della pelle. Era rilevante anche il ruolo che amici e vicinato avevano nel fase della ricerca della terapia.
Diffìcilmente si restava indifferenti quando si veniva a sapere di qualche vicino che stava male, così come ci si adoperava di fronte alla malattia che avesse colpito un amico, cercando in ogni contesto consigli e indicazioni che potessero condurre alla terapia.
Nell'ambito della medicina popolare, chiunque avesse una competenza sia pure minima, poteva
al momento opportuno esercitarla, cioè metterla a disposizione della comunità, vestendo per quella circostanza i panni dell'esperto. La considerazione che ne consegue è che la pratica medica
empirica non era appannaggio di un qualche gruppo ristretto di persone, ma era un comportamento
diffuso, non senza una distinzione dei livelli diversi di competenza.
Al di là di coloro che operavano esclusivamente all'interno della famiglia per le piccole patologie, erano presenti nel mondo agropastorale figure a cui la comunità attribuiva un ruolo specifico nell'ambito della pratica medica. Una di queste figure è quella che veniva comunemente chiamata, nelle zone a dialetto campidanese, sa meìga; nei confronti di questa donna esperta si aveva un atteggiamento di grande considerazione, così come si dava una grande importanza al suo operato e talvolta anche alla sua parola. Gli elementi determinanti perché una donna esperta venisse considerata meìga erano: una competenza indiscussa nella cura di qualche malattia particolare (scrofolosi, fuoco di sant'Antonio, emorroidi ecc..), o addirittura malattie ritenute gravi e difficili da curare; il possesso di qualche ricetta esclusiva; una lunga tradizione di famiglia oppure l'opinione diffusa che la competenza provenisse da una qualche forma di rivelazione, attraverso un sogno, un santo, una spiridada; l'esercizio della pratica medica come prassi quotidiana o comunque come fatto molto frequente; un bacino di utenza molto più esteso del paese di residenza; infine sa meìga era l'unica figura, assieme a quella corrispondente maschile (il flebotomo), a cui fosse consentito chiedere compensi anche in denaro.
La gamma delle opportunità, per il malato, non si esauriva con queste due figure (donna esperta e
flebotomo). In una dimensione distinta, e spesso anche come ultima speranza, operava la figura della spiridada o speziada, una figura di guaritrice di cui si diceva che avesse ricevuto i suoi poteri
taumaturgici direttamente dal diavolo o da qualche altro essere malefico.
Ritengo opportuno, una volta descritte le figure degli operatori, riprendere quel concetto della
medicina popolare come comportamento diffuso, per vedere come questa caratteristica si presentasse anche nella acquisizione degli elementi necessari per la cura e che nel mio lavoro ho definito "la farmacia collettiva".
Nell'ambito della gestione della malattia, particolarmente delicato e importante era il momento della acquisizione di tutto un complesso di erbe ed elementi necessari per l'effettuazione della terapia. Per giungere ad una risoluzione adeguata di questo aspetto, all'intemo della comunità ciascuno si ritagliava un proprio ruolo, in modo del tutto autonomo, sulla base delle opportunità che il proprio modo di vivere gli prospettava.
Così, il falegname si preoccupava di conservare il legno tarlato con cui le mamme curavano le irritazioni nei neonati. Il sacrista, che saliva ogni giorno le scale del campanile, raccoglieva le piume della stria, notoriamente frequentatrice di quegli ambienti, con cui veniva curato chiunque restasse strìau, cioè colpito dal male provocato da questo rapace notturno.
Il fabbro costruiva gli anelli per la sciatica e l'emicrania, e preparava l'olio di grano per la cura
degli eczemi e altre malattie della pelle. Presso le famiglie dei pastori si trovava la ricotta salata,
confezionata anche per scopi terapeutici. E chi altro non poteva, cercava di inserirsi in questa
farmacia collettiva conservando la pelle di una biscia trovata in campagna, offrendosi di masticare
la ruta, nonostante i danni che provocava ai denti, per curare con l'alito impregnato dei principi
di quest'erba una malattia degli occhi.
L'elenco potrebbe essere molto lungo. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che negli orti e nei cortili erano presenti piante ed erbe officinali di cui poteva usufruire chiunque ne avesse avuto bisogno. Anche la chiesa era stata coinvolta in questa sorta di farmacia collettiva: da essa la comunità traeva l'incenso e i fiori benedetti per le fumigazioni terapeutiche contro lo spavento, l'acqua benedetta per la cura del malocchio, il rito della lettura del vangelo ancora contro lo spavento.
Sa brunia
Accanto alle erbe, c'era tutta una serie di materiali d'uso quotidiano, apparentemente inutili,
che venivano conservati perché all'occorrenza potevano diventare oggetti coadiuvanti in qualche
terapia. Valga per tutti l'esempio della cartastraccia, che in genere veniva conservata (e non buttata) perché unta col sego o con l'olio d'oliva caldi veniva impiegata nella cura delle malattie da raffreddamento, soprattutto nei bambini, applicandola al petto. In definitiva, nell'ambito della pratica medica empirica anche l'oggetto più impensato poteva diventare strumento di terapia, perché un principio costitutivo della prassi quotidiana nella gestione della malattia era quello di fare ricorso, adattandolo quando necessario, a tutto ciò che l'ambiente circostante offriva, intendendo con questa espressione non solo l'ambiente naturale, ma anche quello umano.
Le foto sono tratte dal Libro "La medicina popolare in Sardegna"
di Nando Cossu - Carlo Delfino Editore
sabato 3 dicembre 2011
giovedì 15 settembre 2011
6° FESTIVAL NATURA DELLA GALLURA
6° Festival Natura della Gallura
A.S.CU.NA.S. Associazione per gli Studi Culturali e Naturalistici della Sardegna
www.ascunas.it
“La cultura nasce dalle piante”
Il festival è un momento di condivisione di saperi che si apre come una vetrina di cultura del nostro territorio nelle relazioni col mondo, con un coordinamento di eventi che quest’anno ha come soggetto la conoscenza delle piante, il loro ruolo chiave per la vita dell’intero pianeta e il loro uso nella cultura umana.
TELTI
Giovedì 15 settembre ore 20.30
Museo Culturale e naturalistico della Sardegna
Bimbi artisti per la natura:
gli alberi
tra simbolismo e ricerca
video, illustrazioni di bambini.
Il cervello delle piante
a cura di Maria Pasqui (A.S.CU.NA.S.)
Botanica per guide
presentazione del corso a cura di Francesco Cassitta (A.S.CU.NA.S.)
Per un Futuro Sostenibile:
Auroville, un esempio di riforestazione, banca del seme vegetale e agricoltura biologica
estratto dal video prodotto dal Centro di Ricerche Scientifiche di Auroville
a cura di Maria Pasqui (A.S.CU.NA.S.)
Tutte le piante del mondo in Sardegna: le piante ayurvediche
a cura di Srinivas e Patou Tripathi (Ass. cult. Italiaindiana Onlus, Telti)
Come le piante fanno pregiato il sapone
Illustrazione sul processo di produzione del sapone esclusivamente con estratti di piante
a cura di Giacomina Cocco (Coop. Iliana, Monti)
TELTI
Venerdì 16 settembre ore 20.00
Salone parrocchiale, p.za Duomo
Le piante tintorie
lezione aperta del corso di botanica per guide
a cura di Dr. Bruno Casula e Francesco Cassitta (A.S.CU.NA.S.)
6° FESTIVAL
NATURA DELLA GALLURA
Prov. Olbia - Tempio
A.S.CU.NA.S. Associazione per gli Studi Culturali e Naturalistici della Sardegna
www.ascunas.it
2011 “La cultura nasce dalle piante”
Come eventi rappresentativi per la valorizzazione della cultura naturalistica in Gallura l’A.S.CU.NA.S. di Telti per l’anno 2011 ha scelto:
TELTI
13 settembre Museo Culturale e Naturalistico della Sardegna
Gli alberi
tra simbolismo e ricerca
video, illustrazioni di bambini.
Nella sala allestita coi pannelli narranti sugli antichi culti delle acque e degli alberi ed iI simbolismo dell'albero nelle culture di tutto il mondo, c’è un video, prodotto per il progetto Albericantati, che in forma più compatta ne riporta le informazioni.
Sono intervallate coi disegni dei bambini di una scuola elementare su un cedro Deodara gigantesco, la cui vita hanno contribuito a salvare, in collaborazione con Legambiente, in occasione di invadenti lavori di ristrutturazione di uno stabile adiacente.
Nel video vengono riportate oltre la sensibilità dei bimbi nei confronti del ruolo fondamentale delle piante sul nostro pianeta, che include l’equilibrio di tutte le specie animali, anche notizie più recenti come quelle sul cervello delle piante…
Il cervello delle piante
a cura di Maria Pasqui (A.S.CU.NA.S.)
Anche la ricerca scientifica scopre che le piante hanno un cervello, quindi sono capaci di reazioni intelligenti e soprattutto provano dei sentimenti.
Sono l’università di Firenze e quella di Bonn che hanno portato avanti uno studio partito dalla curiosità di capire come mai si fossero trovati nelle radici delle piante neurotrasmettitori simili ai nostri, scoprendo che il loro cervello si trova negli apici radicali (per saperne di più vi rimandiamo al documento completo che ce ne ha dato notizia, allegato nel blog).
Nasce una nuova scienza, la neurologia vegetale, ma sebbene il loro sistema nervoso sia più semplice, hanno anche gusti musicali: preferiscono soprattutto la musica indiana e anche quella classica: riusciremo ora a non considerarle simili a noi?
Botanica per guide
presentazione del corso a cura di Dr.Francesco Cassitta (A.S.CU.NA.S.)
Il Dr. Francesco Cassitta ha fatto la presentazione del corso per guide, e non solo, che l’A.S.CU.NA.S. ha realizzato per espandere la cultura sulle piante e i prodotti da queste derivati, dalle marmellate di frutti selvatici agli oleoliti, dalle creme di bellezza e salute per la pelle ai colori vegetali, assimilati come antiossidanti o usati per le tinture dei filati.
Svelando conoscenze speciali siamo stati invitati a partecipare ad una lezione che ha costituito la seconda giornata del festival, il corso terminerà la prossima primavera
(rimandiamo al sito HYPERLINK "http://www.ascunas.it" www.ascunas.it per ulteriori informazioni).
Come le piante fanno pregiato il sapone
A cura di Giacomina Cocco (Coop. Iliana, Monti)
Da Monti abbiamo avuto un intervento di una coltivatrice coraggiosa, Giacomina Cocco, che ha raccontato le sue avventure nella coltivazione biologica di varie essenze endemiche sarde, quali ad esempio l’elicriso, il mirto o il ginepro.
Da queste estrae gli olii essenziali e così produce saponi, bagnoschiuma e affini, che sfruttano le capacità curative di questi olii.
Ne è nata un’attività remunerativa, uno dei molti lavori che grazie alla nostra speciale terra possiamo intraprendere, ma che non ci vedono attivi come i Francesi o gli Spagnoli.
Le piante ayurvediche in Sardegna
a cura di Srinivas e Patou Tripathi (Ass. cult. Italiaindiana Onlus, Telti)
Impossibile riassumere in poche e semplici parole l’intervento di Srinivas Triphati, filosofo indiano che ha scelto con la moglie Patou di stabilirsi in Sardegna, alle pendici di Monte Pino.
La natura del luogo era ideale per la crescita delle piante ayurvediche di cui è un esperto: moltissime di queste piante nascono sul nostro suolo spontaneamente, ma scopriamo che vengono invece importate dall’India o dalla Cina.
Con l’introduzione della medicina ayurvedica, “cura della salute”, si apprende come esista un testo vedico di millenni fa che spiega di tutte le piante comportamento, forma e colore (da cui si può già capire per quali scopi potrebbero essere utilizzate), pregi ed effetti sul corpo umano, che ora la scienza moderna scopre in continuazione come novità.
Il particolare rapporto della cultura indiana con le piante ha condotto, già nell’ottocento, a studi ad esse relativi sul comportamento, la sensibilità, l’intelligenza e le strategie di comunicazione, oggi appena affrontate nelle nostre università.
Per un futuro sostenibile
Auroville, un esempio di riforestazione, banca del seme vegetale e agricoltura biologica
estratto dal video prodotto dal Centro per la Ricerca Scientifica di Auroville, India
a cura di Maria Pasqui (A.S.CU.NA.S.)
Nell’estratto del video “Per un futuro sostenibile”, prodotto dal Centro per la Ricerca Scientifica di Auroville, nel Tamil Nadu in India, abbiamo uno splendido esempio di come un territorio reso sterile ad opera di un disboscamento selvaggio, che ci ricorda molto quello subito dalla Gallura poco più di un centinaio di anni fa per la produzione di carbone, sia risorto in una foresta grazie alla volontà di alcuni uomini, intenzionati a ridare alla natura del posto la ricchezza che una natura “protetta e curata” in modo assolutamente biologico può regalare.
Opere di rinboschimento, coltivazione biologica e una preziosa banca del seme vegetale, da poter scambiare con tutto il mondo, sono i capisaldi della rinascita che rende possibili anche tutte le attività economiche degli abitanti legate ad essa, come la carpenteria, l’agricoltura e la tintura naturale.
Il ciclo idrogeologico è stato ripristinato dalla foresta stessa, nata grazie ad un lavoro collettivo di piantumazione per oasi, ma ancor prima a quello della preparazione del suolo a trattenere l’acqua delle piogge, con una serie di sbarramenti e dighe più o meno piccole, riparando alle ferite del territorio, come i canyon scavati dalle precipitazioni in un territorio desertificato da pochi anni, ma già in preda a bufere di sabbia e polvere.
In più di trent’anni di lavoro, gli obiettivi delle comunità che abitano il territorio di Auroville hanno toccato inoltre lo studio e la produzione di energie rinnovabili, utilizzando vento, sole e biogas, sistemi efficaci per la depurazione ed il miglioramento delle acque e, infine, metodi di costruzione ecosostenibili tra cui quello con la terra “cruda”.
Auroville è uno dei primi ecovillaggi, realizzato da volontari di tutto il mondo seguendo un progetto di Sri Aurobindo, il più importante filosofo indiano del ‘900, coadiuvato dalla Mère, sua illuminata collaboratrice che ne ha promosso la realizzazione, e vede ora circa duemila residenti di varie nazionalità.
TELTI
16 settembre Salone parrocchiale
Le piante tintorie
lezione aperta del corso di botanica per guide
a cura di Dr. Bruno Casula, Dr.Francesco Cassitta
Questa è stata la prima parte dell’incontro sulle tinture vegetali con piante spontanee della sardegna.
Con delle proiezioni, oltre al metodo di tintura, sono state introdotte dal Dr. Bruno Casula le varietà tintorie, che sono state utilizzate per la tintura nella seconda parte dell’incontro avvenuto al Museo Culturale e Naturalistico della Sardegna con la collaborazione delle maestre tintore di Aggius (rimandiamo per la lezione teorica al sito HYPERLINK "http://www.ascunas.it" www.ascunas.it ).
Un’infinità di nuance dai caratteristici colori terrosi delle tinture vegetali, dal blu ai rossi e aranci, dai verdi ai violetti, le tinte sono comunque calde e scopriamo che ognuna presenta tutti i colori, anche se in minima parte, generando stimoli ai diversi organi del corpo tramite la vista, con una conseguente azione terapeutica che non si verifica coi coloranti sintetici.
info: naturasardegna@yahoo.it